La moda si sviluppa di copia in copia? Il tema della contraffazione e dell’imitazione al margine della legalità è una tema che viene spesso preso alla leggera, ma che rappresenta una vera e propria piaga della moda, per l’economia e per le antiche aziende produttrici. Capi d’abbigliamento creati e diffusi dai più grandi brand di fama internazionale arrivano sul mercato nero, la maggior parte delle volte sotto forma di falso, in un processo sviluppatosi soprattutto negli ultimi anni, difficile da bloccare. La mostra Faking it, aperta al Fashion Institute of Technology di New York fino al 25 aprile 2015 esplora proprio il fenomeno della contraffazione, cercando di indagare il suo sviluppo e soprattutto le ragioni di questo processo. Cento pezzi di abbigliamento per 150 anni di storia, per un’analisi dei quattro livelli di autenticità della moda: l’originale, la copia autorizzata, la diffusion line e il falso.

Sì perché accanto al processo della vera e propria contraffazione, vi è anche quello dell’imitazione, ben diversa dalla falsificazione. Christian Dior per esempio, si impose nell’immediato dopoguerra con il suo New Look, amato e desiderato da milioni di donne. Trattandosi di un brand poco accessibile ed esposto dunque a un possibile processo di contraffazione, lo stilista decise di prevenire il fenomeno, autorizzando alcuni grandi magazzini a vendere delle imitazioni dei suoi modelli. Si tratta di una vera e propria forma di difesa dai falsi, adottata anche da altri stilisti. “Gli stilisti” – ha dichiarato Ariele Elia, curatrice della mostra – “hanno cercato in vari modi di impedire che i loro capi venissero copiati. Madelaine Vionnet ad esempio era solita autenticare l’etichetta con l’impronta del suo pollice. Purtroppo ciò non ha impedito di riprodurre falsi“.

Alcuni hanno anche deciso di creare delle linee più economiche rispetto al marchio principale proprio per arginare il più possibile un fenomeno così diffuso come quello della contraffazione. È il caso di D&G ed Emporio Armani. Emilio Pucci fu invece il primo a creare il copyright dell’etichetta firmandola, mentre Chanel ha considerato la copia del brand come una forma di pubblicità gratuita per le sue creazioni. Non a causa la sua petite robe noire è diventato uno storico capo d’abbigliamento, sempre attuale, ripreso da tutti i brand e presente in qualsiasi negozio di abbigliamento.

Il falso vero e proprio cominciò a farsi strada tra la fine del XIX secolo e inizio XX e nel 1914 il numero di falsificazione delle firme era già arrivato a due milione. La Cina ha contribuito notevolmente a questo processo, producendo copie contraffatte di nomi come Louis Vuitton, Gucci, e Chanel.