Moltissime aziende di moda occidentali, low cost e non, producono i loro abiti in Bangladesh. Ogni giorno, migliaia e migliaia di sarte, cucitrici e modelliste lavorano ininterrottamente all’interno delle fabbriche per la produzione dei capi di abbigliamento.

Il 24 aprile 2013, 1133 operai del tessile sono rimasti vittime della strage di Rana Plaza a Dhaka (Bangladesh), dove un palazzo di nove piani, costruito su un terreno non edificabile, è crollato causando morti e feriti.
In occasione del secondo anniversario della strage- e dopo il successo dell’anno scorso che ha visto sull’attivo top model, designer, icone della moda e artisti- si è mossa una campagna internazionale, coordinata in Italia dalla stilista Marina Spadafora e sostenuta da Altromercato, per far conoscere il vero costo della moda, ma soprattutto per promuovere un’industria più etica e giusta.

La campagna è soprattutto social e sarà possibile aderire scattando una foto con la maglia al contrario, in modo che si veda bene l’etichetta, inserendo l’hashtag #Chihafattoimieivestiti? (#whomademyclothes?). A questa iniziativa hanno già aderito Bernardo Bertolucci, Elio Fiorucci, il musicista Saturnino Celani, l’attrice Domiziana Giordano, l’attore e regista Giampiero Judica, il tenore Noah Steward e il filmmaker Jordan Stone.

In occasione del Fashion Revolution Day 2015, Marina Spadafora, stilista e direttrice creativa di Auteurs du Monde, ha detto: “Fashion Revolution Day vuole essere il primo passo per la presa di coscienza di ciò che significa acquistare un capo d’abbigliamento, verso un futuro più etico e sostenibile per l’industria della moda, nel rispetto delle persone e dell’ambiente. Scegliere cosa acquistiamo può creare il mondo che vogliamo: ognuno di noi ha il potere di cambiare le cose per il meglio e ogni momento è buono per iniziare a farlo”.