Questa non è la storia di un determinato personaggio, di un’icona di stile o celebrità. Questa è la storia di quello che amo definire il mito, il mio mito. A pensarci bene possiamo considerarlo sia un’icona di stile, dal momento che tutte le tendenze passano prima tra le sue pagine, che una celebrità, in quanto anche i meno interessati conoscono, seppur involontariamente, il suo nome. Questa però è la storia della nascita di Vogue, la più prestigiosa rivista di moda al mondo.

Se come me attendete impazientemente l’inizio del mese per acquistare Vogue, scartate con cura il cellofan onde evitare di graffiare la copertina e respirate profondamente il profumo delle sue pagine, allora siete nell’articolo giusto. Dietro a quelle centinaia di pagine, incorniciate da una cover ben studiata, c’è dietro un mondo tutto da scoprire, fatto di mesi e mesi di duro lavoro, viaggi da ogni parte del mondo per trovare la location giusta per lo shooting, incontri con stilisti e direttori creativi, riflessioni, ansie, idee, ricerca costante di nuovi spunti e molto altro ancora. Quello che ogni mese sfogliamo sedute comodamente sul nostro divano altro non è che il risultato di tutto questo splendido caos.

Oggi vi porto indietro nel tempo, al 17 dicembre del 1892 per la precisione, quando un uomo di nome Arthur Baldwin Turnure decise di realizzare una gazzetta mondana per rappresentare l’alta società newyorkese, mostrando alla città gli usi e costumi, ma anche gli interessi e lo stile di vita agiato, dell’elité di New York. Alla rivista fu dato il nome di Vogue (moda), e durante la fine del diciannovesimo secolo interessò sia i lettori appartenenti all’alta società, che appunto venivano descritti tra le pagine della rivista, e sia quelli che aspiravano a rientrarci.

Nel 1909 Condé Montrose Nast acquistò Vogue e ne divenne editore apportando alcune significanti modifiche. Sotto la sua direzione la rivista divenne bisettimanale e arrivò a toccare le cento pagine a numero, inoltre le copertine divennero più colorate con l’intento di suscitare nel lettore lo stesso effetto che si prova stando dinnanzi a delle opere d’arte. Prima del 1909 le copertine di Vogue erano perlopiù fotografie, stampe e alle volte illustrazioni, con l’arrivo di Nast le cose cambiarono. Egli volle che ad occuparsi delle copertine della rivista fossero degli illustratori professionisti, quali Salvador Dalì, George Lepape ed Eduardo Garcia Benito, o artisti emergenti che lo stesso editore ingaggiava direttamente dall’École Nationale des Beaux-Arts di Parigi. Solo negli anni ’30 la fotografia prese il sopravvento sull’illustrazione.
Il successo della rivista portò Nast a renderla internazionale e dal 1912 iniziò a venderla anche a Londra. Con lo scoppio della prima guerra mondiale le cose si complicarono e l’esportazione di Vogue, come quella di altri materiali di prima e seconda necessità, divenne quasi impossibile e rischiosa. Così Conde Nast decise di creare una sede autonoma in Inghilterra che venne battezza il 15 settembre del 1916 con il nome di Vogue UK. Dopo quella inglese, Nast provò a realizzare anche una versione in lingua spagnola e tedesca che però non ebbero successo, al contrario di quella francese che prese vita nel 1920, mentre in Italia arrivò solo nel 1964.

Ad occuparsi della versione americana di Vogue durante gli anni della guerra fu Edna Woolman Chase, che utilizzò l’influenza che la rivista aveva sull’alta società per realizzare delle sfilate di beneficenza in cui il ricavato andava a donne e bambini che a causa del conflitto avevo perso tutto. A succedere la Chase fu Jessica Daves, considerata poco adatta per reggere il timone di una rivista così importante, che si avvalse dell’aiuto di Alexander Lieberman per tenere alta la qualità grafica di Vogue. Ad Alexander Lieberman dobbiamo la realizzazione dell’attuale logo della rivista, che dal 1947 è rimasto invariato. Il successo di Vogue aumentava notevolmente di anno in anno, tanto da essere considerata la rivista di moda più prestigiosa e autorevole al mondo. Ma le tendenze apparivano sempre uguali, i servizi fotografici statici e le cover eleganti ma poco innovative. Fu Diana Vreeland a porre dei cambiamenti notevoli alla rivista, dando un tocco frizzante e sensuale ad ogni servizio fotografico rivoluzionandola dal punto di vista artistico. Con la Vreeland la figura dell’editrice di moda venne considerata sacra e indiscutibile, una sorta di Papa della moda. Negli anni ’70, sotto la direzione di Grace Mirabella, Vogue divenne mensile. La rivista prese una piaga più giornalistica, aumentarono i numeri degli articoli e si pose attenzione sui temi di salute e bellezza; le copertine rispecchiavano la formula “guardami negli occhi” inserendo ogni mese la foto della modella in primo piano affiancata dai titoli che anticipavano il contenuto degli articoli. Ai volti in primo piano, Anna Wintour preferì le modelle fotografate a mezzobusto e con il look in mostra. La Wintour diede un allure moderno al giornale e abbandonò i canoni di rivista elitaria: tutte le donne dovevano rispecchiarsi in Vogue, tutte le donne dovevano sentirsi Vogue.

In questi 123 anni, Vogue è stato il testimone del cambiamento delle mode, dalla minigonna allo smoking da donna fino al blue jeans. Ha vissuto due conflitti mondiali, ha aiutato il mondo della sartoria a risollevarsi nel dopoguerra, ha lanciato artisti, stilisti, fotografi e modelle, ha rappresentato la società di ogni epoca, ha concretizzato il concetto di stile, esaltato la figura della donna moderna e lavoratrice e della fashion victim. In questi 123 anni Vogue ci ha regalato tante emozioni, e continua a darcele ogni mese.

Viviana Guglielmino