Sarebbe stato bello avere vent’anni negli anni ’60, questo decennio è stato caratterizzato da eventi degni di nota come l’introduzione della pillola, la minigonna, i Beatles e la generazione “Ye-Ye”, l’evoluzione dello stile femminile e Diana Vreeland in Vogue, tanto per elencarne alcuni.
Sì, perché gli anni ’60 sono stati degli anni davvero stupendi, ricchi di avvenimenti importanti nel sociale, nella cultura musicale e nel mondo della moda. E sfogliando gli album fotografici di mia nonna, che all’epoca aveva più o meno la mia età, non posso non rimanere affascinata dallo stile femminile di quel decennio che rappresenta un’impronta lampante di una società in evoluzione, che non solo stava cambiando ma che si stava ribellando ai rigidi pregiudizi del tempo diventando sempre più indipendente.

Questa briosa atmosfera di rivoluzione è evidente più che mai nel costume dell’epoca, tanto per cominciare dalla minigonna di Mary Quant e dallo stile androgino di Twiggy, dai costumi da bagno sgambati sfoggiati dalle star durante le loro vacanze a Saint Tropez e le stampe nei vestiti. Ma chi più di ogni altra persona ha reso noti ed evidenti tutti questi fenomeni, influenzando in maniera radicale la moda dell’epoca rendendola più azzardata e sensuale, è stata Diana Vreeland, storica direttrice di Harper’s Bazaar e Vogue.

Questo nome può suonare sconosciuto a molti, ma la sua storia merita di essere raccontata. Diana Dalziel nacque a Parigi nel 1903. La sua famiglia apparteneva all’alta società americana, ambiente che le permise di crescere in mezzo al lusso e signore eleganti. Per tutta l’adolescenza Diana, considerata il brutto anatroccolo della famiglia, ha dovuto fare i conti con il suo aspetto e con il confronto con la madre e la sorella Alexandra che erano di una bellezza folgorante. Date queste circostanze Diana capì che la personalità era tutto quello su cui poteva puntare e decise così di crearsi un personaggio. Iniziò ad interessarsi di moda, a sperimentare su se stessa abbinamenti particolari e ad arricchire i suoi look con lunghe collane di perle e gioielli, creando uno stile anticonformista per l’epoca. Nel 1924 sposò il banchiere Thomas Reed Vreeland, da cui ebbe due figli maschi, e si trasferì a Londra dove aprì una boutique di classe conquistando l’attenzione di Wallis Simpson, futura Duchessa di Windsor, con cui nacque una profonda amicizia. Grazie al suo stile, durante un ballo si fece notare da Carmel Snow, l’editrice di Harper’s Bazaar, che le propose di lavorare per la rivista. Trasferitasi nuovamente a New York iniziò la sua ventennale carriera per Harper’s Bazaar dove si occupò della rubrica “Why don’t you?” in cui dispensava consigli eccentrici e creativi.
Diventata un personaggio di spicco nel mondo dell’editoria di moda, nonché una delle donne meglio vestite negli anni ’60, nel 1963 venne corteggiata da Vogue che le promise “la luna e sei pence. Oltre a un conto spese illimitato per i vestiti e l’Europa ogni volta che lo desiderava”. Diana accettò e negli anni in cui lavorò per la rivista contribuì a rivoluzionarla portandola a dei livelli inimmaginabili per l’epoca.

Vogue si affacciava all’immaginario collettivo della donna lavoratrice e non più solo madre e moglie. Quella rappresentata da Vogue sotto la direzione della Vreeland era una donna appassionata di moda e del buongusto, sempre impeccabile ad ogni ora della giornata, amante dell’arte e, qualche volta, dell’eccentrico, ma alla continua ricerca di nuove ispirazioni. La rivista era diventata un palcoscenico su cui rappresentare tutti i cambiamenti di stile ed aiutare a portare le lettrici- di ogni classe sociale- in un’altra realtà, facendole sognare tra borse e abiti di alta moda. Diana amava l’eccesso e chiedeva ai suoi redattori di esagerare: “se non trovate quello che vi ho chiesto allora inventatelo”. A lei dobbiamo la nascita del fashion stylist, inoltre supervisionava ogni servizio fotografico e con la collaborazione di Richard Avedon rese la fotografia più azzardata e sensuale. Lanciò personaggi come Twiggy e Cher, facendole diventare delle icone, e fu una mecenate del buongusto aiutando aspiranti stilisti come Emilio Pucci, Manolo Blahnik, Valentino e Missoni a sfondare nel mondo della moda. Senza peli sulla lingua, durante un incontro con Adolf Hitler si permise di fare un appunto sui suoi baffi «Quei baffi sono orribili. Sono proprio sbagliati» e licenziò una redattrice per la sua camminata pesante «faceva troppo rumore con i tacchi».

Finita la sua carriera nella redazione di Vogue, dal 1972 fino alla morte- alla soglia dei 70 anni- divenne consulente creativa per il Metropolitan Costume Institute realizzando mostre sfarzose in pieno stile Diana Vreeland. L’amore per il marito Thomas (che amò con tutta se stessa nonostante i tradimenti di lui) e per la moda accompagnarono questa donna così avanguardista per tutto il resto della sua vita. Le sue idee e le sue innovazioni sono rimaste impresse all’interno di Vogue, rivista per cui lavorò per ben 10 anni, influenzando le direttrici future e in particolare la celebre Anna Wintour, considerata l’erede- sia per genio che per carattere- della Vreeland.

Viviana Guglielmino