Come tutte anch’io sento il bisogno di sapere dove stiamo andando“, esordisce così Miuccia Prada durante la sua sfilata.

La collezione si presenta stravagante in un gioco di equivoci propri dell’intellettualismo della stilista: ogni abito racconta una storia in un mix & match dal sapore androgino, lontano, di viaggi e scopi, di meraviglia del passato e frenesia del presente.
La passerella di Milano Moda Donna è scalfita dall’incedere prepotente delle modelle, metafora della complessità dell’essere donna, passi svelti e fieri, sintomo di una donna vulcanica, forte, nomade e vagabonda che non si lascia spaventare.

Gli abiti, più colorati e folcloristici che mai, evocano emozioni racchiuse nelle stampe collage di Cristophe Chemin, artista autodidatta francese chiamato da Prada a mettere insieme immagini, disegni, mezzi espressivi di diversa natura e la natura stessa.
È la Rivoluzione Francese la protagonista di questo icastico gioco di immagini: 12 tele che riprendono i 12 mesi del calendario dell’avvenimento.
La storia si fa storia in un via vai di intense stratificazioni, un mosaico della propria personalità, “sexy, maschile, femminile, dolce, spietato. È come se una mattina ti svegliassi e invece di vestirti ti mettessi addosso tutti i pezzi di chi sei, di chi sei stata, di chi sogni di essere”.

Così anche gli abiti diventano sedimentazioni di tante vite: ci sono i corsetti di cotone bianco con sopra delle cinture cui appendere di tutto come quella della signora Huges, mitica governante di Dawnton Abbey e i sontuosi tocchi d’oro del broccato, le camicie hawaiane di lamé e il panno rovinato di certi capispalla, l’abito decisamente sensuale e il nylon dei pezzi più contemporanei. E poi leggings di lana con argyle che fanno tanto Westwood, il cappellaccio di cotone bianco da marinaio e stivali stringati come guêpière molto difficili da domare.
Tutto è un gioco di contrasti. E di sovrapposizioni che culminano nei corsetti stretti in vita sopra ai coprispalle, ai maxi coat, alle pellicce.
I cappotti check si abbinano a lunghi guanti in lana e si alternano alle fur di astrakan, alle giacche con dettagli in visone o con inserti trapuntati.

Prada non smette di stupire, la collezione pone in una luce diversa il pensiero della stilista lanciando una svolta pop: è come se avesse chiamato Andy Warhol a fare un’incursione nella sua fantasia, a ridimensionare e divorare il costume e la scena pop riducendola a mera rappresentazione femminile.
Caos e scambio di ruoli ma non del tutto, la donna forte di Prada cavalca l’onda dell’immaginazione, dell’energia, una donna che stigmatizza la propria personalità piena di memorie e clichè, una donna veloce e verace che non si lascia intimidire.

La donna disarmonica di Prada non potrebbe essere altro che una vagabonda chic che nell’era della digitazione audiovisiva si configura in una sovrapposizione e contrasto di idee mostrando la biancheria, simbolo di femminilità, in un contesto del tutto puramente androgino.